Libri su Giovanni Papini

2014


a cura di Eny Di Iorio e Franco Zangrilli
Media allo specchio.


Capitolo:
Maria Belén Hernàndez Gonzàles
Giovanni Papini, una terza pagina originale, pp. 25-43
21-22-23-24(25-26-27-28-29-30
31-32-33-34-35-36-37-38-39-40
41-42-43)44-45-46-47-48-49-50



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I suoi articoli raccontano, confessano, descrivono, dipingono lui. (...)
Lo scrittore, che finisce col predominare ha tutto.
(Discorso su Papini, G. Prezzolini)

   Giovanni Papini è stato un autentico animale della scrittura; pochi intellettuali sono stati, nella storia della cultura italiana contemporanea, capaci di compiere un lavoro così cospicuo e diversificato da contribuire a pari parti nello sviluppo della narrativa, l'editoria e il giornalismo italiani; senza perdere mai l'orizzonte della poetica novecentesca e del pensiero filosofico moderno.
   Nell'ambito del giornalismo, oltre a partecipare alla fondazione di numerose riviste 1 e periodici come: Leonardo (1903), La Voce (1908), L'anima (1911), Lacerba (1913), La Vraie Italie (1919), Il Frontespizio (1929), La Rinascita (1938) e L'Ultima (1946), Papini opera nella redazione della pagina culturale dei principali quotidiani dell'Italia del suo tempo, da Il Regno a La Stampa, Il Tempo, Il nuovo Secolo, Il Messaggero e il Corriere della Sera; proponendo per essi delle rubriche di prestigio. Il volume di scritti dedicato a dette collaborazioni giornalistiche


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è tanto esteso da poter affermare che consumarono la maggior parte delle sue energie 2, e forse costituiscono le più acute mostre del tuo talento. In questa sede si propone uno sguardo alla vasta produzione dello scrittore per la cosiddetta «terza pagina», quello speciale genere giornalistico che egli stesso contribuì a forgiare.
   Papini, in effetti, intuì presto che lo spazio della terza pagina era il più adatto per mettere in relazione la letteratura con i contenuti riguardanti la politica, la cronaca e l'attualità; ma in aggiunta all'intrinseco carattere interdisciplinare del genere, egli capì i suoi valori critici e propagandistici, proponendo sezioni di pungente dibattito, in sinergia con l'accesa lotta delle riviste letterarie, dalle quali lo stesso autore era paladino.
   La terza pagina era nata in Italia nel 1901 3 nel Giornale d'Italia, periodico romano diretto da Alberto Bergamini, il quale incominciò a dedicare ad un unico tema culturale lo spazio dell'intero terzo foglio del giornale, proponendo inchieste e invitando famosi intellettuali dell'autorevolezza di Benedetto Croce, a partecipare alla stesura delle due colonne tipograficamente distinte dal resto del quotidiano per l'uso dell'elegante elzeviro, tipo di lettera poi divenuto sinonimo di questa sezione giornalistica 4. Pochi giorni dopo, in concorrenza con Bergamini, il Corriere della Sera, diretto dai fratelli Albertini, sviluppò la sua propria sezione culturale, consolidando la terza attraverso un elenco nutrito di scrittori dalla firma esclusiva, tra di essi i rinomatissimi: Gabriele D'Annunzio, Ada Negri, Luigi Capuana,


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Luigi Pirandello, Grazia Deledda, e in seguito Ugo Ojetti, Emilio Cecchi e tanti altri, compreso Papini, sino alla scomparsa definitiva della terza pagina nel 1992 5. Di conseguenza, sin dai primissimi anni del Novecento, tutti i giornali italiani dedicarono la terza pagina alla cultura artistica e letteraria del tempo, fenomeno che a tutto diritto è entrato nei manuali di storia letteraria per il reciproco arricchimento procurato dal vincolo tra giornalismo e letteratura 6.
   In parole di Corrado Alvaro:

In vero, la letteratura italiana del Novecento deve molto al giornalismo. Non deve forse la sua stessa faticata conoscenza e conquistata accettazione all'azione svolta in sua difesa dalla critica militante specialmente sulle colonne della terza pagina? Le raccolte critiche intorno al Novecento sono in grandissima maggioranza composte di articoli, riordinati in modo da rivelare una loro spontanea organicità 7.

   A giudizio di Mario Praz 8 proprio nella terza pagina dei quotidiani è fiorita una gloriosa tradizione saggistica italiana: articoli di varietà, ricordi e profili, fantasie e bizzarrie di Ojetti, Cecchi, Baldini, Giovannetti, e tanti altri.
   Il carattere frammentario distintivo della letteratura moderna ha ancora qualche debito con questo genere, così come — a mio avviso — il giornalismo letterario ha influito nel modo di studiare la letteratura


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in Italia, attraverso l'uso corrente di antologie, raccolte e miscellanee; un'abitudine che i lettori avevano assimilato dai quotidiani nazionali. Difatti, nello stesso periodo, in paesi vicini come la Spagna, malgrado l'equivalente effusione di riviste e tribune letterarie, non si verificò tale ibridismo tra giornalisti e letterati; gli autori iberici raramente pubblicavano in volume una loro selezione di articoli, tranne esclusivi saggisti come Ortega y Gasset; si usava invece pianificare i libri d'un pezzo, come fecero tutti gli scrittori ispanici modernisti e della generazione del '27, da Miguel de Unamuno e Valle Indàn a Garcìa Lorca.
   Nel caso di Papini, oltre all'importanza delle sue terze per la storia del giornalismo italiano, molte di esse divennero le fondamenta delle proprie opere letterarie, tanto narrative quanto saggistiche. Se Corrado Alvaro, facendo una stima in media dei collaboratori ai giornali, considerava che in venti anni uno scrittore assiduo arrivava a pubblicare sulle mille terze pagine e da esse ricavava due buoni libri; Papini, durante i suoi oltre cinquant'anni di carriera come pubblicista, superò ogni statistica e ne ricavò parecchi titoli. Di fatto, gli articoli di terza pagina sono particolarmente abbondanti nei seguenti suoi libri: 24 cervelli, saggi non critici (1913); Il tragico quotidiano e Il pilota cieco (1913); Buffonate, satire e fantasie (1914); Stroncature (1916); Polemiche religiose (1917); Testimonianze, saggi non critici (1918); Ritratti stranieri (1932); Ritratti italiani (1932); Eresie letterarie (1932); Il sacco dell'orco (1933); La pietra infernale (1934); Italia mia (1939); Figure umane (1940); Mostra personale (1941); L'imitazione del padre (1941); Cielo e terra (1943); Santi e poeti (1947); Passato remoto (1948); Le pazzie del poeta. Fantasie, capricci e moralità (1950); La spia del mondo. Schegge di poesia e di esperienza (1955); La felicità dell'infelice. Ultime schegge (1956). Altri volumi e riedizioni papiniane contengono svariate terze pagine, fino alla edizione postuma di Schegge (1971) curata dalla nipote Anna Paszkowski.
   Secondo Papini, la terza pagina era per gli italiani una «quotidiana dose di poesia»; la perfetta opportunità di mettere in vista la fantasia dello scrittore, che egli usa perfino nei saggi, dove si raccontano, infinite storielle, battibecchi letterari e strambe ipotesi teoriche,


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in uno sforzo iperbolico di capacità espressive. Papini, quindi,contribuì in grande misura a trasformare questa tipologia testuale; me nei primi tempi dette pagine apparivano semplicemente un mezzo di divulgazione culturale, durante il primo dopoguerra, in seguito a contributi originali di finzione, la terza pagina divenne libera fantasia e creazione saggistica. In questo modo lo ricordano, con la prospettiva degli anni e un punto di nostalgia, Papini e Soffici, in occasione di una inchiesta giornalistica pubblicata nel 1952:

Una quarantina d'anni fa -ricordò Soffici- la "terza pagina" quasi non esisteva nei giornali italiani o, se ne esisteva un simulacro, era di carattere al tutto diverso da quello che poi ha seguito. Credo che Papini ed io siamo stati tra i primi a rompere lo schema, prevalentemente culturale e storico, col farvi accogliere scritti di fantasia, più ariosi, vari, e persino d'intonazione lirica; intramezzati di divagazioni spensieratamente filosofiche. Da quel tempo in poi la "terza pagina " ha assunto un'importanza vitale nel campo della nostra letteratura, tanto che, sotto questo aspetto, i quotidiani italiani possono dirsi i più originali ed anche i più artisticamente meritori, di quanti se ne stampino all'estero. La "terza pagina" è dunque da considerarsi — ed io la considero — una felice istituzione del nostro giornalismo: senza contare che essa rappresenta anche una delle poche possibilità ancora offerte agli scrittori non industrializzati di sbarcare alla meglio e dignitosamente il lunario 9.
   E Papini proseguì:

Considero la "terza pagina" come uno dei migliori vanti della stampa italiana. Ormai la cosiddetta massa non ha sentore degli avvenimenti intellettuali e spirituali che attraverso gli "elzeviri", i quali non sono affatto letti da tutti ma per lo meno da molti di coloro che non hanno l'abitudine


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di comprar libri né la voglia di leggerli. La "terza pagina" è ancora un contrappeso, una contropartita e un contrappasso delle troppe pagine dedicate, specialmente in certi giorni, allo sport. Ho cominciato a scrivere nelle "terze pagine" dei giornali fin dal 1905 e ricordo che i vecchi direttori, come Frassati della "Stampa" e Missiroli del "Resto del Carlino", seguivano con vigile cordialità i collaboratori della "terza pagina", abitudine che, a quanto pare, si sta oggi perdendo ed è male. Ricordo anche che, quaranta anni fa, un articolo di "terza pagina" era spesso un avvenimento clamoroso del quale si parlava e si discuteva dappertutto. Ma non direi che le "terze pagine" di oggi siano in decadenza rispetto a quelle dei primi decenni del secolo e più ancora direi se non temessi di apparire lodatore della mia generazione 10.

   Le rimembranze di Papini si manifestano quando, nel panorama culturale dei suoi anni finali, la terza pagina era diventata — specialmente nei giornali di partito — un salotto di scambio funzionale tra politica e poesia, tra l'ideologia da propagandare e le produzioni editoriali di attualità da vendere; quando le collane di cultura parevano vetrine e non più libera espressione intellettuale.

I. Prime terze pagine di Papini

   In contemporanea alle polemiche prose delle sue Schermaglie 11, e come correlato giornalistico del suo particolare concetto di «letteratura di azione» 12, l'autore affronta le prime collaborazioni di terza


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pagina nei primissimi anni del secolo 13 — quando ancora il genere non era consolidato — in testate reazionarie che aiutavano il suo sostento economico, a differenza delle riviste letterarie.
   Nel 1903 Papini divenne collaboratore e poi redattore-capo del settimanale nazionalista Il Regno, diretto da Enrico Corradini fino al 1905 e da Alderico Campodonico fino al dicembre 1906, dal quale il nostro autore si allontanò nella fase finale. Dall'editoriale di questa testata, egli prese posizione nel dibattito politico coevo, in favore del nascente movimento irrazionalista e antidemocratico. Alcuni dei più noti testi pubblicati in una rudimentale "pagina tre" furono: Quel che si fa in Eritrea (I. R., 14 febbraio 1904) 14, visto che i temi di espansione coloniale erano del gusto del giornale; Siamo reazionari? (I.R., 4 settembre, 1904); e Socialisti liquidati (I.R., 20 novembre 1904). In totale tra il 1904 e il 1906 Papini scrisse 106 articoli ne Il Regno, la maggior parte firmati con lo pseudonimo d'allora, Gianfalco, altri con le sue iniziali G.P. In questo giornale compare già una prima rubrica, intitolata I fatti del mondo, destinati al commento politico; per questa sezione scrisse 26 articoli, dove domina la spietata critica al socialismo, da lui considerato la filosofia dei poveri, come si intravede nei titoli: I partiti socialisti a congresso ( I . R., 10 aprile 1904); Il congresso del dissolvimento (I.R., 14 aprile 1904); I socialisti e Loubet (I.R.,1 maggio 1904). In contemporanea, e in corrispondenza con la seconda rubrica del Leonardo, Alleati e nemici, ideò anche per questo periodico la sezione I discorsi degli


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altri, dove gli attacchi personali erano più vistosi, con titoli come La preparazione alla guerra e l'impreparazione del prof. Sergi (I. R., 22 maggio 1904); la serie giunse a 15 articoli. Tra il 1905 e il 1906 i suoi interventi in questa sede si fecero sporadici, pubblicando nell'agosto di quell'anno il suo ultimo articolo: Campagna per il forzato risveglio (I.R., 11, 12, 15 agosto 1906).
   A rigore, quella de Il Regno non era ancora una terza pagina: non si trattava di un quotidiano e non sempre i testi di Papini si trovavano a pagina 3; ma certamente lo spirito era già quello di collegare la cultura con l'attualità politica, e da questa esperienza Papini trasse idee che in seguito utilizzò nei quotidiani.
   Il primo diario ad accogliere le terze di Papini fu Il Giornale d'Italia, poi il Nuovo Giornale d'Italia, dove esordì con Il mistero del pittore De Groux (Ricordi dell'artista) (G.I., 16 agosto 1904). Il giornale, diretto da Bergamini — l'inventore come già detto della terza pagina — era la voce del liberalismo monarchico. Pubblicato a Roma, vi lavorarono i principali esponenti della cultura italiana del momento: Fogazzaro, Pirandello, Pascoli, Capuana, De Roberto, Panzini, tra gli scrittori; e altri grandi nomi del giornalismo quali Missiroli, Mosca, Federzoni, Bellonci, etc.; con i quali Papini cominciò a confrontarsi. In totale Papini realizzò 22 collaborazioni in questo giornale, delle quali quelle comprese tra il 1904 e il 1908 sono terze pagine. Di esse spiccano: Un congresso di filosofi. Il tramonto del positivismo (G.I., 14, settembre 1904); L'Italia non ha un'idea fissa (G.I., 19 agosto 1906); Gli italiani si mettono a pensare! (9 G.I., febbraio 1907); Ancora la fine del Leonardo. Una dichiarazione degli ex-direttori (G.I., 9 settembre 1907). In questa terza si avverte, oltre alla preoccupazione patriottica, l'interesse per la riflessione religiosa (che anni dopo diverrà centrale nell'opera papiniana) e lo sviluppo della sua tecnica pubblicistica.
   Per Papini, adesso, era giunto il momento d'iniziare la sua avventura ne La Voce (1908-1914), fondata dall'amico Giuseppe Prezzolini. Nello stesso periodo, egli diversificò il suo impegno giornalistico in differenti pubblicazioni come L'Illustrazione italiana, La


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Riviera Ligure, La Stampa, La Lettura, Il Rinnovamento, etc.; e firmò diversi articoli per la rivista milanese Il Commento, che apparve con un unico numero il 16 febbraio 1908, tra essi l'intitolato: Giornalista profeta e giornalisti accattoni.
   Prezzolini, tra l'apologia e lo scherzo, ci racconta alcune peculiarità del primo giornalismo papiniano che meritano qualche attenzione. Anzitutto è colpito dalla rapidità dell'amico nel trascrivere la sua illuminazione lirica: «Papini scrive con una spontaneità scorrente e improvvisa, senza mai un intoppo, da quando ha aperto la sua cateratta fino ad esaurimento» 15. Secondo Prezzolini con l'insieme di articoli pubblicati si potrebbe compilare un'antologia degli amori e odi di Papini, poiché i suoi testi oscillano tra la sacralizzazione delle personalità prescelte, alla sua devastazione, passando dalla corbelleria al cinismo con naturale estro. Questa strategia, o per meglio dire, questo modo di essere scrittore, suscitava un grande interesse: «Ogni rivista, ogni libro, quasi ogni articolo che fa, sembra che mediti una "sorpresa" per il lettore» 16. Per questo motivo i suoi testi erano sollecitatissimi, il lettore medio cercava nei suoi articoli lo scherzo e l'animosità, i giovani poeti se venivano recensiti da lui entravano subito nel centro dei dibattiti artistici, già fossero criticati o lodati; e per gli editori la sua popolarità era sinonimo di pubblicità e influenza.
   Scendendo a motivazioni meno legate alle proprie passioni, in realtà Papini era un grande creatore di slogan; i suoi titoli - dai quali hanno imparato intere generazioni di giornalisti italiani- sapevano colpire i lettori per le virtù sintetiche e l'uso d'immagini, paradossi e segreti significati. Diceva Prezzolini:

Anche i titoli hanno delle vere trovate di indicazione punitrice o corbellatrice: ed ai titoli Papini deve non poco del suo successo. Il titolo di Papini è sovente il tentativo


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di romperla con la statica, che sembra essere il destino del titolo: indicazione immobile. Per esempio: Odiatevi gli uni con gli altri, Non rispondo a Gabriele D'Annunzio, Accuso soltanto me stesso. C'è spesso in un titolo solo concentrato tutto il brillare geniale che si ritrova diffuso nell'articolo 17.

   Di conseguenza, la spontaneità degli articoli era in realtà costruzione stilistica e verità poetica. Per Prezzolini gli scritti di Papini erano come un ventaglio delle meraviglie, tanto diversificato e multiforme, quanto saldo ad una struttura. Egli insiste nel sottolineare il lirismo dell'autore, elemento che lo contraddistingue dai retori farsanti:

Quando vedremo, continuando, il tipo d'articolo a ventaglio di Papini, in cui sullo schema delle stecche si dispone la velatura dipinta e rallegrante di storie, di scherzi, di bisticci, di contrapposizioni, ed ogni stecca ha la sua, capiremo come questo tipo di articolo non si svolga con una crescita, direi, fisiologica ma piuttosto abbia dell'edificio, col suo progetto disegnato prima e con le pietre, la calce, le travi che vanno a suo posto dopo. Chi ha il disegno in mano può farne uno eguale [mentre chi ha la fotografia d'un corpo non ne può fare uno eguale]. Tutto è ordinato, logico, preciso 18.

   In un ulteriore testo, Prezzolini tornerà su questo lirismo che giustifica in lui ogni mutamento spirituale: «Un'analisi della mutevolezza di Papini ci dà risultati molto importanti: prima di tutto è disinteressata, secondariamente risponde sempre ad una estrema pre-sensibilità di quello che i tempi domandano; infine rivela un lato segreto dello spirito di Papini. La mutevolezza di Papini è quella di un spirito lirico» 19.


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   Ne Il Giornale d'Italia, Papini aveva incontrato Mario Missiroli, direttore a Bologna de Il Resto del Carlino, e prestigiosa firma della terza, per la quale scrivevano nomi che da lì a poco si fecero strada: Giovanni Arnendola 20, Aldo Valori, Ernesto Bonaiuti, Alfredo Oriani e Giuseppe Prezzolini. In questo giornale sorse una fiorente stagione per Papini, con circa 184 articoli dal 1910 in poi, poiché anni dopo il foglio aderì al governo fascista. Tra le prime terze per questo giornale Papini diede: Un suicidio metafisico (I.R.C., 5 novembre, 1910), dedicato al giovanissimo scrittore Carlo Michelstaedter; Angelo Mosso (I.R.C., 27 novembre 1910), necrologia del famoso fisiologo torinese; Bisogna studiare gli arabi (I.R.C., 20 novembre, 1912). Le sue terze furono considerate sempre originali, per la grande varietà tematica ed inesauribile curiosità. È indicativo che una delle rubriche da lui create per Il Carlino s'intitolava: Di pensiero in pensier..., vigente dal gennaio 1916.
   Nel frattempo, La Stampa di Torino si propose di dare, nella sua terza pagina, uno spazio d'ampio respiro su temi letterari e d'arti figurative, teatrali e musicali. Per questa testata, diretta ai quei tempi da Frassati, Papini scrisse un totale di 33 pagine, tra il 1907 e il 1938, su soggetti miscellanei e senza rubrica personale. Le date di collaborazione più intense furono tra 1912 e il 1914, periodo di stesura delle riviste La Voce e Lacerba (guidata da Papini e Ardengo Soffici dal 1913 al 1915). Alcuni titoli dimostrano i vasi comunicanti tra l'attività narrativa e saggistica del giovane Papini: Il suicida sostituto (L.S., 22 gennaio 1913); Il triste far niente (L.S., 20 febbraio 1913); La legge contro i poeti (L.S., 17 maggio 1913); Il mascolinismo (L.S., 1 luglio 1913); L'uomo solo (L.S., 23 luglio 1913); Uno scherzo (L.S., 27 agosto 1913). Alle soglie della grande Guerra, La Stampa raggiunse le 50 mila copie vendute (300 mila nel 1915).


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   L'autonomia editoriale era completa e Papini poté dedicare le sue collane di terza, tra le altre tendenze, a sorprendenti pagine di narrativa surreale 21, quali alcune di quelle menzionate sopra.
   Gli interventi di Papini ebbero certamente qualche peso nell'incremento delle vendite, perché la sua fama era ormai incontrastata; si era arruolato al movimento futurista e una delle sue grandi opere, l'autobiografia Un uomo finito, vedeva la luce in La Voce nel 1913. In questa prima fase di giornalismo culturale, sicuramente il momento cruciale fu segnato dalla pubblicazione del Discorso di Roma 22 (1913). Racconta Prezzolini: «Il Discorso di Roma, che ebbe quattro edizioni, lo portò da un cerchio di duemila a un cerchio di duecentomila lettori. Da quel giorno Papini ebbe una fama, i suoi libri si sberciarono, i suoi articoli furono ricercati. Più spaventose erano le cose che scriveva e più incontravano lettori. Il massacro delle donne è stato forse il suo più grande successo» 23. Di conseguenza Papini proseguì ad inventare rubriche a tutta macchina per il grande pubblico, in corrispondenza con quelle redatte per Lacerba (Sedia elettrica, Schegge, Spurghi e resti) e La Voce (Moneta. Schiuma). Parecchi passaggi stravaganti scritti per il rotocalco in questo periodo nutrirono uno dei più polemici volumi di Papini: Stroncature (1916) 24.

   II. Le rubriche di guerra e tra le due guerre

   L'attività giornalistica di Papini dal 1914 lo condusse al campo di battaglia politico. A proposito del potere scoperto attraverso il giornale, egli commenta: «Sta in cima al pensiero di chi vuoi irrompere


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tra la calca dei mille e dei milioni per svegliarli e illuminarli: il lungamente sognato e promesso giornale di chi vuoi prendere all'assalto gli assopiti contemporanei» 25. I lettori dei quotidiani erano di certo una priorità nel suo pensiero. Papini sarà uno dei primi scrittori a capire le potenzialità dei mass media, ma anche il bisogno di anteporre il saggio giornalistico alla scrittura privata, nell'impegno di far partecipe l'intellettuale moderno alla forgia di una società rinnovata.
   Così lo vide anche Benito Mussolini, che inviò una lettera a Papini per proporgli di collaborare con il suo giornale interventista Il Popolo d'Italia, fondato nel novembre 1914, assicurandogli: «Il giornale sarà libero. Libero da dogmi, da sette, da Partiti — non escluso il socialista — antiborghese, antifilisteo. Puoi scrivere quello che vuoi. Avrei anche in animo di creare una rubrica: Le esecuzioni (tipo Sedia elettrica di Lacerba) per liberare l'Italia da qualche dozzina di vecchie carcasse che ammorbano l'ambiente» 26. In effetti, Papini accettò l'invito e, malgrado non diede vita alla rubrica, scrisse diverse terze pagine consoni alle sue nuove posizioni interventiste: I veri padroni d'Italia. I tedeschi della Banca Commerciale (P.I., 19 novembre 1914), Viva la contraddizione! (P.I., 2 dicembre 1914); Il romanzo della guerra (P.I., 18 dicembre 1914), sull'opera di Panzini; I veri padroni d'Italia. La Germania alla conquista dell'Italia (P.I., 30 gennaio 1915). Ne Il Popolo lavorava anche l'amico Prezzolini come corrispondente.
   Durante la Prima Guerra, Papini intensifica parimenti la collaborazione con Il Resto del Carlino, altra testata a favore della guerra, proponendo decine di terze provocatorie quali: Il grande esame (I.R.C., 4 giugno 1915), sul dibattito vociano di Renato Serra; Salviamo l'intelligenza! (I.R.C., 25 luglio 1915); La supplica di Musolino (I.R.C., 24 agosto 1915); La guerra come abitudine (I.R.C., 5 dicembre 1915). Nel gennaio 1916 Papini inizia una nuova rubrica per questo giornale, coeva a Di pensiero in pensier..., intitolata Inutilità


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necessarie, composta di sei terze pagine, e continuata il mese successivo da Annaffiatoio, con altre 20 pagine in aggiunta ad altre pagine sparse, come Munizioni umane (I.R.C., 13 agosto 1916). Nel tono intimista di queste note si riconosce la trasformazione stilistica dello scrittore, riflesso delle delusioni della guerra che lo condurranno alla conversione religiosa, resa pubblica due anni dopo..
   Il 12 dicembre 1917, per iniziativa di Missiroli, nacque a Roma Il tempo, un giornale liberale nazionalista che dopo i primi sei mesi di vita fu diretto da Roberto Villetti, fino alla sua scomparsa nel 1922. In questo foglio Papini ricoprì il ruolo di redattore della terza pagina fino al gennaio 1919, e poi riprese le collaborazioni nei primi due mesi del 1921; intanto Prezzolini ne era corrispondente a New York. L'autore scrisse per Il tempo un totale di 71 articoli, molti senza firma e di contenuto più culturale che politico, come: Posto anche all'arte (2 gennaio, 1918); I diritti dell'antropologia (16 gennaio 1918); La gola di Orlando (16 gennaio, 1918); Forza Dantisti! (8 dicembre 1918). Così come aveva fatto nel Carlino, egli creò per il suo giornale una rubrica di carattere memorialistico, intitolata Fritto misto, in edicola dal marzo 1918, composta da 19 pagine senza sottotitoli.
   L'anno successivo Papini votò i suoi interessi giornalistici alla fondazione, insieme a Soffici, di una nuova rivista, La Vraie Italie 27, un periodico in lingua francese che doveva servire a informare il pubblico internazionale sulla cultura italiana contemporanea. Qui Papini fece dei ritratti amichevoli di alcuni giornalisti, come Missiroli e Morselli. Vi fu silenzio prolungato per qualche anno, poiché durante la stesura di Storia di Cristo, Papini scrisse pochissime "terze" per i quotidiani. Al ritorno della profonda crisi, incomincerà un nuovo percorso 28: Le lettere domenicali per «La Festa» (1924); Promessa al signore per «Il Piccolo» di Palermo (1926); Il lupo di Gubbio


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per «II Carroccio» (1927), e tante altre collaborazioni apparse in pubblicazioni cattoliche: La vita cattolica, Vita nova, Rinnovamento, L'Unità cattolica, L'Ordine, Il Nuovo cittadino, Il Risveglio, ecc.
   Nel 1929 lo scrittore partecipa a Firenze alla rivista letteraria cattolica Il Frontespizio (1929-1938), diretta da Piero Bargellini, dove prenderà delle posizioni tradizionaliste, assieme a Giuseppe de Luca, al cospetto di intellettuali ormai più moderati, come Oreste Macrì e Carlo Bo. Per quanto riguarda le terze pagine, spicca tanto il suo lavoro per L'Avvenire d'Italia, quotidiano cattolico guidato da Raimondo Manzini dal 1927. Per questo giornale scrisse 39 collaborazioni dal 1927 al 1953, molte dedicate ai classici, come Prefazione alle rime di Michelangelo (L'A.I., 11 dicembre 1927); Beehoven (L'A.I., 19 agosto 1931); Unamuno e il segreto della Spagna (L'A.I., 21 gennaio 1937) e soprattutto Il libro unico (L'A.I, 29 giugno 1929), serie sulla Bibbia condivisa con vari giornali. La sola rubrica apparsa ne L'Avvenire fu intitolata Sette interrogativi, divulgata da novembre 1930 e condivisa con La Festa, dove compaiono gli stessi articoli nelle stesse date. Le tematiche classiche e religiose, a differenza di quelle politiche prioritarie durante gli anni precedenti, non erano assoggettate a fatti d'attualità; pertanto Papini poté diffondere identici articoli in diverse pubblicazioni. Persino le rubriche furono meglio fruite: per esempio Tritello, ideata per Il Frontespizio nel febbraio 1932, passò a Il Resto del Carlino e L'Eco di Bergamo il mese successivo. Anche Gl'incerti del palombaro, rubrica apparsa ne Il Frontespizio da febbraio 1937, si ripropone tale quale nel quotidiano Il Popolo di Torino da marzo 1937, composta da una decina di testi con argomenti grammaticali e antropologici.
   Concludendo questo periodo, durante gli anni centrali della Seconda Guerra, Papini sarà direttore de La Rinascita (1938¬1944), pubblicazione ufficiale dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, da lui presieduto. In questa sede egli pubblica saggi come: Pensieri sul Rinascimento (1938); Cronologia del Rinascimento (1939); La grandezza italiana dei Medici (1939). Lavori che avranno una diretta corrispondenza nelle "terze" dei quotidiani di tutta


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Italia, per esempio: Leonardo cattolico («L'Italia», 31 maggio 1938); La gloria italiana dei Medici («La Nazione», 7 aprile 1939); La essenza della Rinascita («Corriere della Sera», 11 aprile 1940); Aspetti e figure della Rinascita («Il Bargello», 31 maggio 1940). In tali testi Papini offre una sintesi personale della storia dell'arte, legata al destino dell'Italia come nazione, mantenendo un discorso accademico e ufficialista molto utile al regime, ma non esente di profondità.

   III. Ultime terze pagine nel Corriere

   Un capitolo a parte meritano le terze pagine dedicate al Corriere della Sera, con circa 400 articoli nei diversi anni. Papini aveva cominciato a collaborare con il giornale già nel 1926, con una terza intitolata Armando Spadini (C.S., 31 marzo 1926). Ma non tornerà fino a sei anni più tardi, con Dagli storici alla storia. Achille Ratti (C.S., 13 aprile 1932) e una rassegna: Il Faust svelato (C.S., 26 aprile 1932). Timide collaborazioni che avranno più consistenza a partire del 1939 con terze come: Necessità della poesia (C.S., 20 gennaio 1939); Troppo intelligenti! (C.S., 4 aprile 1939); La storia d'Italia (C.S., 5 ottobre 1939); Significato della natività (C.S., 23 dicembre 1939). Meno numerose tra il 1940 e il 1941, le terze proseguono nel 1942 con Galileo Galilei. Nel terzo centenario della morte (C.S., 8 gennaio 1942); Antenati e posteri (C.S., 24 gennaio 1942); 25 marzo 1842¬1942. Antonio Fogazzaro nel centenario della nascita (C.S., 25 marzo 1942); Il segreto di San Francesco (C.S., 18 dicembre 1942). Dalle date e le tematiche, si capisce che per il Corriere Papini era una firma d'autorità, e di conseguenza gliene sollecitava il discorso umanistico e i commenti professorali in occasione di feste e ricorrenze letterarie.
   Dal 1948 Papini si lascia vedere come articolista abituale in giornali come Il Messaggero di Roma, Il Secolo, La Sicilia del Popolo e altri notiziari. Ne Il Messaggero pubblica una rubrica denominata Assortimento, dal 13 novembre 1949, con dieci terze pagine, poi continuate ne Il Secolo XIX nuovo. Entrambi i giornali condividono


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anche la successiva rubrica: Scampoli, del dicembre 1949. In queste terze si trovano miscellanee su eventi culturali e note necrologiche, mescolate a ricordi e fantasie parallele alla redazione degli ultimi libri memorialistici di Papini: Passato remoto (1948) e Le pazzie del poeta. Fantasie, capricci e moralità (1950). È allora che il Corriere concede allo scrittore la terza pagina in esclusiva.
   Nell'aprile 1954 29, nonostante le sue precarie condizioni di salute e l'assoluta cecità, Papini incomincia a lavorare in una delle sue rubriche più importanti e da molti giudicata la migliore della sua produzione: Schegge 30. Il titolo era sorto molti anni addietro, nel settembre 1913, per le pagine di Lacerba; come presentazione della rivista Papini propose: «Un pensiero che non può esser detto in poche parole non merita d'esser detto. [...] Noi siamo inclinati a stimare il bozzetto più della composizione, il frammento più della statua, l'aforisma più del trattato, e il genio nascosto e disgraziato ai grand'uomini olimpici e perfetti venerati dai professori» 31. Adesso, ritornando al lirismo caratteristico dei suoi primi anni, Papini ripropone delle particolari visioni su tematiche sociali, politiche, religiose e letterarie; in uno stile più pacifico, ma sempre originale per le prospettive e la densità significativa. Questa rubrica, mantenuta quindicinalmente nella terza del Corriere gli ultimi due anni di vita dell'autore, gli consentì il riconoscimento finale e perfino il consenso della comunità intellettuale di sinistra 32.
   Una delle Schegge più fortunate degli ultimi giorni, Le felicità dell'infelice (C.S., 19 febbraio, 1956), potrebbe dare mostra del cammino compiuto:


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Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho perduto l'uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto quasi cieco e quasi muto. Non posso dunque camminare né stringere la mano di un amico né scrivere neppure il mio nome; non posso più leggere e mi riesce quasi impossibile conversare e dettare. Sono perdite irrimediabili e rinunce tremende soprattutto per uno che aveva la continua smania di camminare a passi rapidi, di leggere a tutte le ore e di scrivere tutto da sé, lettere, appunti, pensieri, articoli e libri. Ma non bisogna tenere in picciol conto quello che mi è rimasto ed è molto ed è il meglio. [...] Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la fede, l'intelligenza, la memoria, l'immaginazione, la fantasia, la passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si chiama intuizione o ispirazione 33.

   Le ultime Schegge 34, presentano una scrittura sintetica e aforistica, rivolta al pensiero sulla condizione umana, con sottotitoli come: Ciechi (C.S., 8 settembre, 1957); Bellezza (C.S., 8 settembre, 1957); Notturno (C.S., 8 settembre, 1957); Gioventù (C.S., 22 settembre, 1957); Momenti (C.S., 2 febbraio, 1958). Esse furono pubblicate postume, sempre nella terza pagina del giornale, in due rubriche intitolate: Inediti di Papini (in edicola dal 1 settembre 1957) e Dal diario di Giovanni Papini (apparse dal 26 luglio 1959) grazie all'aiuto della nipote che l'aveva assistito negli anni finali. Un'ulteriore rubrica di terza pagina dell'autore uscì ne Il Resto del Carlino, il quotidiano che lo vide nascere al giornalismo, con il titolo Gli appunti segreti di Giovanni Papini, tra gennaio e aprile 1961, una quindicina di testi inediti su letture e confessioni intime.


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A quel tempo Papini, a dispetto delle sue bizzarre gesta, era ormai un classico della letteratura contemporanea.
   In definitiva, l'opera giornalistica di Giovanni Papini ha dato voce, attraverso le collane della terza pagina, allo spirito di un'epoca segnata dalle polemiche e dalle contraddizioni tra poetiche idealistiche e d'avanguardia, politica interventista e passatista, movimenti nazionalisti e fascisti, agnosticismo e cattolicesimo; conformando iI percorso unico e irripetibile della cultura italiana del Novecento.


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